cappella dell’ospedale di Belluno

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La luce naturale che “cade” dall’alto è l’unico tema, l’unico motivo di questo progetto.

Questa luce avvolge una croce. Non vi è altro.

La croce si staglia contro la bianca parete absidale che non ha articolazioni, né aperture, né immagini. Il resto dello spazio è immerso in una vaga oscurità. Si determina una tensione nello spazio che mira a recuperare l’esperienza di ciò che chiamiamo “sacro”.

La croce, “lo scandalo della croce” (S.Paolo), è il centro di gravità dello spazio: è in legno, di proporzioni umane, conficcata nel suolo, indipendente; è il testimone del “dramma più atroce che sia mai avvenuto” (K.Wojtyla, 1984).

Le Corbusier chiamava la croce “testimonio”.

La croce, al di là di tutte le stratificazioni di senso, ugualmente profonde, che ha avuto nei secoli, attraverso religioni e culture diverse, è il simbolo del sacrificio, della sofferenza, del dolore.

Considerato il contesto della cappella, un ospedale appunto, ci è sembrato che l’evidenziare con la forza della luce naturale, la presenza del “signum” sia l’elemento che meglio parla dell’abbandono, del distacco e della solitudine degli uomini.

Questo progetto rappresenta inoltre, lo sforzo compiuto per la ricerca del silenzio. E’ il fine del progetto: il silenzio attraverso una rarefatta astrazione dello spazio che conduca all’intimità della quiete. Uno spazio intimo, dove un uomo possa ritrovare sé stesso e i propri ricordi personali, un riparo dall’angoscia e dall’ansia, dalle pene della

malattia. Un riparo il più lontano possibile dal mondo, per quanto fisicamente prossimo il mondo possa essere.

Il silenzio evoca l’idea della presenza di Dio. “Dio è nel silenzio” (R.Guardini, 1937).

Nei suoi singolarissimi scritti L.Kahn, che riteneva il silenzio prevalere sul concetto stesso di bellezza, chiamava l’architettura come “la voce del silenzio”.

La cappella è stata studiata per essere funzionale a una liturgia che implica la partecipazione diretta dei fedeli ai rituali collettivi. Ma nell’immaginare questo spazio di luce, ombra e silenzio pensavamo principalmente all’esperienza solitaria della preghiera. E’ certo che esistono diversi modi di pregare. Sulla preghiera come dialogo tra il soggetto e Dio si è scritto moltissimo, ma le parole di Giovanni Paolo II sulla preghiera in rapporto alla sofferenza sono un ricordo incancellabile ed hanno costituito per questo progetto un riferimento culturale importante (cfr.Giovanni Paolo II, “Varcare la soglia della speranza”, 1984, pp. 16-29 in particolare p. 28).

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